INTERVISTA  A  FISICHELLA:       «SARÀ IL GIUBILEO DELLA SPERANZA»                                           Mimmo Muolo mercoledì 7 febbraio 2024                                

  • Parla l’arcivescovo incaricato di organizzare                                                    l’evento del 2025: nel tempo delle fragilità riscopriamo la fonte della vita, «Roma e l’Italia        sanno che  si tratta  di un appuntamento cruciale»

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  • SULLA SCRIVANIA DI MONS. RINO FISICHELLA le cartelline con la scritta IUBILAEUM 2025 occupano quasi tutto lo spazio. SONO VERDI, dato che il tema del GIUBILEO sarà quello della SPERANZA. Grandi eventi, rapporti con lo Stato e il Comune di Roma«LAVORO ce n’è ancora tanto», dice l’Arcivescovo del Dicastero per l’evangelizzazione, cui il Papa ha affidato l’organizzazione dell’Anno Santo, come fu per quello straordinario della MISERICORDIA.               Col Conto alla rovescia sul suo telefonino ricorda: «MANCANO 321 GIORNI all’apertura della porta santa»

  • ECCELLENZA, MOLTE COSE SONO GIÀ STATE FATTE. Tema, inno, apertura delle iscrizioni. Cosa resta da fare? LA BOLLA con cui Papa Francesco ci aiuterà a riflettere sul Giubileo come esperienza di SPERANZA che aiuti la Chiesa a ravvivare la propria FEDE attraverso LA CARITÀ  con la quale siamo impegnati ad andare incontro alle esigenze dei più deboliMi viene in mente la celebre immagine di CHARLES PÉGUY, secondo cui LA SPERANZA è la piccola sorella nascosta tra le gonne delle due sorelle maggiori, FEDE E CARITÀ che però lei prende per mano e trascina. PERCIÒ IL GIUBILEO SULLA SPERANZA deve darci una spinta a RECUPERARE LA SPERANZA CRISTIANA.

  • OGGI SI PARLA DI SPERANZE al plurale. C’è differenza con LA SPERANZA al singolare TEMA DELL’ANNO SANTO?

Certo. Siamo figli di un tempo in cui la ricerca scientifica e la tecnologia che ne deriva ci offrono tante possibilità. Quindi si creano delle speranze, al plurale, sulle quali pensiamo di fondare la nostra esistenza. Ma queste speranze possono anche illudere, perché si fermano all’immediato.

  • LA SPERANZA DI CUI PARLIAMO è quella che dà senso alla vita, che risponde ai grandi interrogativi perché apre un orizzonte più vasto. LA SPERANZA non ci illude perché È CRISTO CHE CI HA PROMESSO la partecipazione alla sua vita divina e noi sappiamo che manterrà questa promessa. Questa speranza non è proiettata in un futuro senza tempo, ma già sostiene la nostra vita presente.

  • NELLA BOLLA DEL PAPA ci potranno essere novità, come l’apertura delle Porte Sante nelle singole diocesi?

 Credo che il Papa mirerà a rendere concreta la speranza. E qui ritorna l’interrogativo: CHE COS’È LA SPERANZA?   Noi possiamo definire LA FEDE come un abbandonarsi a Dio che si rivela. Possiamo definire LA CARITÀ come un amore che va verso gli altri fino al dono della propria vita.

  • MA QUANDO PARLIAMO DI SPERANZA diventa difficile dare una definizione. Anche l’arte ha trovato difficoltà. E infatti viene rappresentata come UN ANGELO CON IL DITO PUNTATO VERSO IL FUTURO o UNA VELA, elementi presenti nel logo del Giubileo. In realtà, quando parliamo di speranza dobbiamo lasciare aperta la risposta, in modo da andarle incontro con L’ANIMO SERENO e non con l’angoscia di chi non sa che cosa aspettarsi dal futuro. OCCORRE RISCOPRIRE LA TEOLOGIA DELLA SPERANZA PRESENTE NELLE LETTERE DI S. PAOLO. Il quale dice: CRISTO IN VOI È… LA SPERANZA.

  • IL GIUBILEO ci aiuterà a ravvivare questa dimensione … ne abbiamo proprio bisogno…E questo pensiero finale di PAOLO, mi rende particolarmente felice. E voi che ne dite, amici? dv 3338890862 SITO: www.donvincenzoalesiani.it …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..

One comment

  1. GIOVANNI ALLEVI a Sanremo:
    “Il mieloma non si vince, ha colpito la mia capacità di suonare. Ma la mia presenza qui è per testimoniare forza e speranza””

    All’improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte davanti ad un pubblico da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto, alla Konzerthaus di Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. E non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo.Ho perso molto, il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se la malattia mi porgesse, assieme al dolore, degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio.
    Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota?! Mi sono sentito mancare! Eppure, quando ero agli inizi, per molto tempo ho fatto concerti davanti ad un pubblico di quindici, venti persone ed ero felicissimo! Oggi….dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a quindici persone. I numeri…non contano! Sembra paradossale detto da qui. Perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi, è unico, irripetibile e a suo modo infinito.

    Un altro dono! La gratitudine nei confronti della bellezza del Creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d’ospedale. Un altro dono. La riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. Per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi. La riconoscenza per l’affetto, la forza, l’esempio che ricevo dagli altri pazienti, i guerrieri, così li chiamo. E lo sono anche i loro familiari, e lo sono anche i genitori dei piccoli guerrieri.

    Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. E come intuisce Kant alla fine della Critica della Ragion Pratica, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c’è qualcosa che permane! Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono. Voglio andare fino in fondo con questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall’esterno? Voglio accettare il nuovo Giovanni. Come dissi in quell’ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima. Il brano si intitola Tomorrow, perché domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello!”

    Allevi dice che la musica è stata un riferimento continuo durante le cure. “In ospedale ovviamente non avevo lo strumento a portata di mano, ma non è mai stato un problema: ho potuto comporre musica nella mia testa. Una musica libera, totalmente libera. E dava un senso alla mia sofferenza. Trasformavo il mal di schiena, l’ansia, la paura del futuro, del fatto che le terapie non funzionassero, in note. Che bello che la musica e l’arte siano l’occasione per trasformare la fragilità umana in una forza avvolgente”.
    “….quando non c’è più certezza del futuro bisogna vivere più intensamente possibile il presente. Per domani non intendo un futuro tanto allargato, ma piuttosto un presente allargato”.

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