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MADRE… IO VORREI
- IO VORREI TANTO PARLARE CON TE di quel Figlio che amavi io vorrei tanto ascoltare da te quello che pensavi, quando hai udito che Tu non saresti più stata tua E QUESTO FIGLIO che non aspettavi, non era per Te. Ave, Maria! Ave Maria!
- IO VORREI TANTO SAPERE DA TE, se quand’era bambino, Tu gli hai spiegato che cosa sarebbe successo di Lui e quante volte anche TU DI NASCOSTO PIANGEVI, Madre, quando sentivi che presto l’avrebbero ucciso per noi. Ave, Maria!
- IO TI RINGRAZIO PER QUESTO SILENZIO che resta tra noi, io benedico il coraggio di vivere sola con Lui, ora capisco che fin da quei giorni pensavi a noi, PER OGNI FIGLIO DELL’UOMO CHE MUORE Ti prego così: Ave, Maria! Ave Maria! Ave, Maria! Ave, Maria!
- RISONANZE: per me uno dei canti mariani più belli… a livello musicale e di contenuti. Maria obbedendo a Dio…non sarebbe più stata SUA, e QUEL FIGLIO NON ERA PER LEI… E avrebbe PIANTO DI NASCOSTO, per capire e piangere con le TANTE MAMME che perdono un figlio… quanto vorrei poterlo cantare con voi, amici. Che effetto vi fa? ——————–—donalesiani@gmail.com
- PREGHIAMO IL QUARTO MISTERO DELLA GIOIA: MARIA COI BIMBO * AL TEMPIO SALÌ, E IL SANTO VEGLIARDO * L’ACCOLSE E GIOÌ. (AVE)
- D. ORIONE PELLEGRINO ALLA MADONNA DELLA GUARDIA – GENOVA “ Sono un povero pellegrino che cerco luce e amore: vengo al Santuario col rosario in mano. Vengo a cercarle luce e amore di Dio e delle anime! Vengo a Lei per non perdermi, Vengo a Lei e sento sopra di me un’alta pace vedo il suo manto distendersi su tutte le tempeste e una serenità inoffuscabile che mi avvolge e penetra. E in questa luce inebriante MI SPOGLIO DELL’UOMO VECCHIO E AMO…
- IN COMPAGNIA DI D. ORIONE PREGHIAMO IL PADRE NOSTRO E 10 AVE MARIA
- ———————————————-–donalesiani@gmail.com
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LA MADRE – Pablo Neruda
La madre, ecco che arriva con zoccoli di legno.
Ieri soffiò il vento del polo, si sfondaronoi tetti,
crollarono i muri e i ponti,
l’intera notte ringhiò coi suoi puma,
ed ora, nel mattino del sole freddo, arriva mia madre,
dolce come la timida freschezza del sole delle terre tempestose,
lanternina minuta che si spegne
e si riaccende
perché tutti distinguano il sentiero.
Oh, dolce madre
– mai ho potuto dire matrigna -,
la mia bocca trema a definirti,
perché appena fui in grado di capire
vidi la bontà vestita di poveri stracci scuri,
la santità più utile: quella della farina e dell’acqua,
e questo fosti. la vita ti fece pane
e lì ti consumammo nei lunghi inverni desolati
con la pioggia che grondava dentro la casa
e la tua ubiqua umiltà
che sgranava l’aspro cereale della miseria
come se tu andassi spartendo un fiume di diamanti.
Ahi, mamma, come avrei potuto vivere senza ricordarti ad ogni mio istante?
Non è possibile.
Io porto il tuo Marverde nel mio sangue,
il cognome del pane spartito,
di quelle dolci mani che ritagliarono da un sacco di farina
le brachette della mia infanzia,
di lei che cucinò, stirò, lavò, seminò, calmò la febbre.
E, quando ebbe fatto tutto
e ormai potevo reggermi in piedi saldamente,
si ritirò, cortese, schiva, nella piccola bara
dove rimase in ozio per la prima volta
sotto la dura pioggia di Temuco.